Un’opera al mese è una iniziativa culturale promossa dal Comune di Forlì in collaborazione con l’associazione Amici dei Musei San Domenico, per far conoscere i tesori d’arte che la città possiede. Nove erano le opere previste nella prima proposta, poi interrotta per l’emergenza Covid quindi riproposta con un programma diverso.
“Ogni mese” uno studioso propone al pubblico una narrazione culturale attorno ad un capolavoro tratto dai musei forlivesi. Si tratta di opere conservate nella Pinacoteca civica, a Palazzo Romagnoli e anche nella Collezione privata della Fondazione Cassa dei Risparmi. Quando possibile i capolavori vengono trasferiti in una sala conferenze mentre, per non mettere a repentaglio la fragilità di alcuni di essi, qualche incontro si svolgerà nel luogo in cui sono custoditi.
Alcuni esempi:
21 aprile 2022: Il battesimo di Gesù di Marco Palmezzano
Giovedì 21 aprile. Palazzo del Merenda, corso Della Repubblica.
Protagonista della serata è stato il magnifico dipinto “Il battesimo di Gesù” realizzato da Marco Palmezzano, tra i grandi artisti del Rinascimento e illustre rappresentante con Melozzo della scuola forlivese.
Il dirigente del Ministero dei Beni Culturali e storico dell’arte Leandro Ventura, profondo conoscitore della cultura artistica del Rinascimento, racconta la sublime tavola che il Palmezzano realizzò nel 1534, al tramonto della sua fortunate vicenda artistica. Il Battesimo di Cristo dei Musei Civici di Forlì – spiega il professor Ventura – opera firmata e datata 1534 da Marco Palmezzano, proviene come lascito dalla collezione Piancastelli ed è oggi conservato nel Palazzo del Merenda. Il dipinto di non grandi dimensioni è un esempio interessante della produzione tarda dell’artista destinata alla committenza privata. Nel dipinto è possibile individuare i vari riferimenti culturali e stilistici utilizzati dal pittore nella sua carriera, ma anche degli elementi simbolici legati alle esigenze devozionali della committenza.”
28 novembre 2021: Santa Lucia di Adolfo Wildt
Domenica 28 novembre 2021. Chiesa di San Giacomo (Musei San Domenico).
A restituire un punto di vista inedito e suggestivo della Santa Lucia sarà la storica dell’arte Emanuela Bagattoni, docente presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose “Alberto Marvelli” di Rimini – Facoltà Teologica dell’Emilia-Romagna.
Se Wildt – spiega Bagattoni – è da annoverarsi tra i più importanti scultori del primo Novecento, la Santa Lucia, opera del 1926, è da più parti ritenuto uno dei suoi massimi capolavori. In questa splendida testa marmorea possiamo scorgere le principali caratteristiche della sua arte: virtuosismo tecnico e raffinatezza esecutiva; stretta relazione tra arte e sentimento etico e religioso; dialogo, sempre in chiave originalissima e sottilmente conturbante, con motivi iconografici, stilistici e tematici riferibili a svariate epoche del passato come l’antichità, l’età gotica, ma anche il periodo rinascimentale e quello barocco. Wildt svolse il tema del martirio della santa e la rappresentazione dell’affascinate connubio tra dolore ed estasi, in linea con la spiritualità seicentesca e con particolare affinità alle opere di Gian Lorenzo Bernini.
La “Santa Lucia” fa parte dell’importante nucleo di capolavori di Wildt conservato presso Palazzo Romagnoli, imprescindibile punto di riferimento per lo studio e la comprensione della ricca produzione scultorea dall’artista milanese. La collezione apparteneva in origine al marchese Raniero Paulucci de Calboli, alto diplomatico forlivese, che nel corso degli anni Venti acquistò personalmente dallo scultore milanese Wildt ben 7 opere per poi lasciarle in eredita, a morte avvenuta nel 1931, alla sua città
17 ottobre 2021: la Dama dei Gelsomini di Lorenzo di Credi
Domenica 17 ottobre 2021. Chiesa di San Giacomo (Musei San Domenico).
Il dipinto è conosciuto al grande pubblico per il discusso confronto con la Gioconda di Leonardo e per il richiamo all’immagine di Caterina Sforza. Da questo punto di vista – spiega Alessandra Zamperini, docente di Storia dell’Arte Moderna – è innanzitutto il simbolismo dei fiori da cui prende origine il titolo dell’opera a suggerire una lettura che porta al di là della semplice constatazione di trovarsi di fronte a un puro e semplice ritratto femminile destinato solo a trasmettere la fisionomia di una bella fanciulla: fiori e piante, sin dal medioevo, avevano dei significati che la maggior parte degli osservatori non aveva problemi a riconoscere, ma che oggi è necessario recuperare attraverso le fonti scritte e i confronti con altri lavori. In secondo luogo, anche l’abbigliamento si rivela un indizio fondamentale, in quanto ci consente di assegnare l’opera a un determinato contesto geografico e a un preciso ambito temporale. Le fogge degli abiti, infatti, sono un segno di appartenenza e di riconoscimento, che rivelano – ieri come oggi – la ‘nazionalità’ di un individuo e il periodo in cui visse. Nel nostro caso, lo stile pittorico ha fortunatamente consentito di dare un nome preciso all’autore della tavola; ma, di per sé, già le vesti sarebbero state sufficienti per rimandare all’ambiente fiorentino del nono decennio del XV secolo.
31 gennaio 2020: Ebe del Canova
Venerdì 31 gennaio 2020, Musei San Domenico. Francesco Leone, docente di Storia dell’Arte contemporanea presso l’università degli studi G. D’annunzio di Chieti-Pescara, presenta “Antonio Canova e la rinascita della scultura: la modernità dell’Ebe di Forlì”.