Quattro corpi straziati penzolano dai lampioni di piazza Saffi, sono quelli di Silvio Corbari, Adriano Casadei, Iris Versari e Arturo Spazzoli. E’ il 18 agosto del 1944. Da una camionetta militare, nel bel mezzo della macabra messa in scena, scende un gruppetto di tedeschi che accompagna, o meglio, sorregge un quinto partigiano fin sotto ad uno dei corpi martoriati. Guarda il tuo fratellino, gli intimano. Si! Io posso guardarlo, risponde Tonino Spazzoli, non voi. Quella stessa notte, tra Coccolia e Ghibullo, anche lui viene barbaramente assassinato.
Parlare di quei giorni è difficile, com’è difficile non ripetere i soliti tristi, anche se opportuni e doverosi commenti. A raccontare qualcosa di nuovo è Aroldo Spazzoli, il figlio di Tonino, già vice presidente dell’Istituto storico della Resistenza e rappresentante Fiap (Federazione italiana associazioni partigiane), nella testimonianza, per la prima volta resa pubblica, di un protagonista di quei tremendi momenti.
Anche il giovane Aroldo, tra l’ottobre del ’43 e l’aprile del ’44, operò in montagna col padre e lo zio. Il gruppo, composto da 5 o 6 persone – quasi tutti familiari – aveva il compito primario di dare aiuto e ricovero ai soldati alleati, nell’intento di farli rientrare nelle loro linee. I generali O’Connor e Neame, il maresciallo dell’aria Boyd e tanti altri, furono salvati da loro.
Il 7 agosto, in una delle prime trasversali di viale Roma, Tonino, Aroldo e alcuni altri, attendevano un piccolo carico di scarpe da portare in montagna. Mio padre – ricorda Aroldo Spazzoli – a un tratto decise, apparentemente senza ragione, di passare da casa prima di affrontare il viaggio. Mi mandò avanti in bicicletta per verificare se ci fosse qualcosa di strano. Mi guardai attorno: non vidi nessuno ed entrammo tutti in casa. Purtroppo, dopo 5 minuti fece irruzione la Gestapo. Successivamente sapemmo che da alcuni giorni la zona era sotto controllo. Io e mio cugino, Gino Casali, fummo condotti alla Todd, l’organizzazione di lavoro coatto che aveva la sede nell’attuale Villa Igea. Ci interrogarono, ci chiusero nel solaio e infine ci portarono in carcere.
Fu qui, che grazie alla benevolenza di un secondino, Aroldo rivide il padre Tonino. Era in una cella – precisa – e poiché era considerato pericoloso aveva le manette ai polsi. Furono momenti tremendi. Tutti i giorni si susseguivano gli interrogatori. Ci pestavano e ci riconducevano in cella. Mio padre era distrutto, lo potevo vedere di sfuggita dallo spioncino quando veniva ricondotto dietro le sbarre, dopo le torture. Mio zio Arturo andò più volte a parlare con Corbari per tentare l’assalto alle carceri e liberarci; qualcuno della banda mi ha poi raccontato che erano già pronti all’attacco con tanto di uniformi tedesche.
Purtroppo il 12 agosto a Bologna, si svolse un’azione simile, e tutta la Romagna fu messa in allarme vanificando gli sforzi dei partigiani. Poi ci fu l’agguato e la tragica cattura dei quattro a Cornio San Valentino, la prima messa in scena nella piazza di Castrocaro e quindi la macabra esposizione dei corpi martoriati di Spazzoli, Corbari, Versari e Casadei in piazza Saffi.
Il 18 agosto, nell’ora d’aria – continua con estrema precisione Aroldo –, ancora un secondino ci mise in condizione di vederci. Aprì un portoncino che metteva in comunicazione i nostri “spicchi d’aria” e potemmo abbracciarci. Lui era da poco stato in piazza, ai piedi del cadavere del fratello e degli altri, ma questo lo potei capire soltanto dopo. Con un filo di voce mi disse: “guarda sotto la cuccia della cagnetta… Se scappi vai dal mio amico a Bologna”. L’amico cui si riferiva era Leandro Arpinati. Fu l’ultima volta che lo vidi: due giorni dopo seppi della sua tragica morte. A casa, in quella strada che oggi è viale Fratelli Spazzoli, andai solo alla fine della guerra e dopo numerose fughe. Sotto la cuccia c’erano delle armi. Armi che probabilmente mio padre voleva che io usassi. Forse quelle stesse che, assieme alle scarpe, Tonino voleva portare in montagna, in quel sacrificio che gli costò la vita.
Tratto da Il Resto del Carlino edizione locale del 18/8/1991.
Autore Marino Mambelli
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