PIEVEQUINTA, L’OSTERIA E IL SALE E TABACCHI

di Mauro Mariani

L’edificio in angolo tra via Cervese e Donnasanta. Nella prima metà del Novecento dall’ingresso di sinistra si accedeva al “Sale e Tabacchi”, da quello di destra si entrava nell’osteria. Foto 1960, raccolta privata.

A Pievequinta, nella prima metà del Novecento, lincrocio stradale tra via Cervese e via Donnasanta (l’antica via per Forlimpopoli) era un luogo rilevante per gli abitanti locali e per i viandanti. Proprio nell’edificio in angolo tra le due strade si trovavano due punti di riferimento del circondario agricolo locale distante da Forlì circa 6 chilometri: il “Sale e Tabacchi”, con tanto di telefono pubblico, e l’osteria. Il Sale e Tabacchi era posizionato nel locale rivolto verso la Cervese, mentre l’osteria si trovava nella stanza che guarda solo su via Donnasanta. In quell’osteria si fermava spesso a bere un bicchiere di vino Carlo Brighi det Zaclen negli intervalli fra una suonata e l’altra nel circolo dei socialisti che era proprio di fronte. Quando gli intervenuti alla festa da ballo si spazientivano per la prolungata assenza del capo orchestra si alzava la famosa chiamata “taca zaclen” e a quel punto riprendevano le danze.

L’attività di “Sale e Tabacchi” era gestita da Emilio Turci detto Miglio o anche e Zòp perché aveva una gamba di legno (ricordo della Prima guerra mondiale) e dalla consorte la Minghina. Nel negozio, oltre agli articoli del Monopolio (sale, tabacchi e francobolli) erano presenti pochi altri generi. In questo, come in tutti gli altri negozi, tutto veniva venduto sfuso ed in minime quantità: le possibilità finanziarie erano per tutti molto limitate. Pochi, infatti, compravano un pacchetto intero di sigarette, più spesso acquistavano due sigarette o quattro. Eccezionalmente 10. Anche di sale se ne comprava poco, massimo mezzo chilogrammo. Per questo sul banco era presente una grande bilancia a bracci uguali. Uno sorreggeva un piatto per appoggiare i pesi e l’altro sosteneva un contenitore in vetro. Quest’ultimo, sospeso tramite tre catenelle, era molto robusto ed incurvato per poter contenere il sale. Una volta pesato, si alzava il piatto da una parte e si versava il sale su un telo o sacchettino, che l’acquirente aveva portato da casa, avendo cura di far scendere anche i granelli che ostinatamente restavano aderenti al vetro. Per questa operazione era lì pronto un garnadel (scopino di saggina).

L’edificio di Pievequinta che nella prima metà del Novecento ospitava il “Sale e Tabacchi” e l’osteria. Foto Forlipedia, 2024.

L’osteria era frequentata soprattutto di sera ma, specie d’estate, era anche meta assidua di viaggiatori accaldati. Allora si viaggiava essenzialmente in bicicletta o a cavallo. Fra i frequentatori c’era spesso il birocciaio Giuvanì ad Sintinèl, Giovanni Lugaresi detto anche semplicemente Giuvanino. Aveva un mezzo a due ruote, una baròza da sbaruzer, trainato da una enorme cavalla. Giuvanino e la cavalla erano una cosa sola e vivevano in simbiosi. L’ultimo bicchiere di vino Giuvanino lo dava da bere alla cavalla, poi, quando si doveva ripartire, a distanza e con voce alta impartiva l’ordine: Un passo indietro e un passo avanti. La cavalla indietreggiava orientando il mezzo nel verso giusto, poi ripartiva verso casa. A chi si divertiva a lanciare battute a sfondo politico Giuvanino, molto fiero e con dito puntato in alto, diceva: Io sono un repubblicano mazziniano.

La “zarbela” è il lungo palo in legno che sostiene il pagliaio. Immagine tratta da “La Piè” anno 1932.

Di sera l’osteria era tutta un’altra cosa. Alcuni giocavano a carte, altri  facevano la solita bevuta. Fuori, nel periodo estivo, si formava un crocchio che si concentrava soprattutto sul “ponte”. Infatti, il fosso sotterraneo che fiancheggia via Donnasanta e che attraversa la Cervese, una volta era scoperto. Quasi di fronte al Sale e Tabacchi c’era un parapetto di protezione al quale ci si appoggiava: questo era il “ponte”. Il pubblico dell’osteria, ovviamente, era rigorosamente maschile e passava la serata a parlare del più e del meno, degli affari, dei lavori, dei divertimenti, degli scherzi. Già, gli scherzi…

Si racconta che un gruppo di burloni dell’osteria riuscì ad infilare la bicicletta da uomo di un amico in una zarbela di un pagliaio esaurito, facendola scendere dall’alto chissà in che modo. La zarbela è lo stollo del pagliaio cioè quel lungo palo di legno conficcato a terra attorno al quale veniva ammucchiata la paglia. Il malcapitato dovette accettare lo scherzo e tornarsene a casa a piedi. Qualche ora più tardi, però, tornò alla chetichella con una sega e tagliò ad un metro da terra la zarbela. La bicicletta fu così recuperata facilmente e lo scherzo fu restituito con gli interessi.

Bibliografia:
Un sentito ringraziamento a Franco dla Palmina
Stati delle anime della parrocchia di Pievequinta

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