Via Consolare corre sui resti di un antico tracciato stradale realizzato sull’argine dismesso del fiume Montone. Se la conservazione di una traccia così antica è stata possibile il merito va sicuramente ad una fontana, anticamente detta di Schiavonia e successivamente di Riatti. La presenza della storica fonte, localizzata ai Romiti, scongiurò infatti la soppressione dell’uso pubblico del tratto stradale divenuto inutile nel 1811. Era il tempo in cui in la città si dissetava grazie ai pozzi, pubblici e privati, e potersi garantire una fonte di acqua potabile era quindi di fondamentale importanza. Gli stessi pozzi diventeranno portatori di gravi epidemie e, a partire dalla metà del XIX secolo, una Forlì assetata di acqua sana penserà seriamente di dotarsi di un acquedotto pubblico. Il pensiero diventerà realtà solo nei primi del ‘900.
L’antico rettilineo della via Emilia che proveniva da Faenza, per evitare un’ansa del fiume Montone, all’altezza di via Padulli formava un’ampia curva a destra: la Voltaccia. Il tracciato di quella ”variante stradale” che, come dicevamo, in parte si può individuare nell’odierna via Consolare, fu rettificato verso porta Schiavonia nel 1811 quando ormai del vecchio letto fluviale era rimasto solo un alveo parzialmente bonificato: il cosiddetto Fiume morto. Pellegrino Baccarini nel 1812 scrive: La bella strada che conduce a Faenza ed, in forma di diga, taglia a mezzo quel gran relitto di fiume detto comunemente la Brilleta al di là di Porta Schiavonia, … con tale operazione (la rettifica ndr) fu accorciata la distanza tra Faenza e Forlì di circa un miglio nostra misura.
La realizzazione del tratto rettilineo sopraelevato dell’Emilia per il nuovo ingresso alla città avrebbe implicato la dismissione del vecchio tracciato stradale pubblico: un’operazione ovvia per evitare le manutenzioni e per destinare alla coltivazione le aree “sdemanializzate”. Ma, sottolinea il Baccarini: siccome la fontana detta di Schiavonia della quale tanto approfitta la popolazione, rimaneva fuori di strada fu saggiamente divisato che si lasciasse un residuo della vecchia strada detta la Voltaccia, perché servisse di accesso alla detta fontana. Il residuo stradale di cui parla il diarista ottocentesco partiva da porta Schiavonia per arrivare, appunto, alla fontana o poco più in là.
L’importanza di quella fonte diede origine ad alcuni toponimi che ritroviamo sulla Carta Topografica del Regno d’Italia del 1873. Strada della Fontana, ovviamente, ma anche Scolo della Fontana, un evidente canaletto che raccoglieva le acque sgorgate dalla fonte (che quindi immaginiamo abbondanti) e le accompagnava al fiume. In quella carta è individuata con precisione la posizione del manufatto. Con quella traccia del 1873 è ora molto più facile riconoscere l’ultima memoria grafica della fontana, si tratta di un rettangolino sulla via Consolare disegnato sulla mappa catastale del XX secolo.
Nella memoria dei forlivesi quella fonte pubblica è ancora viva, anche se con un nome diverso. Non Fontana di Schiavonia, ma Fontana di Riatti. Nelle vicinanze dell’attingimento, infatti, esisteva la proprietà e la dimora di una famiglia originaria di Reggio Emilia, migrata a Forlì nella seconda metà dell’800. I Riatti. Sulla mappa dell’IGM (Istituto Geografico Militare) con base 1892 e ricognizione 1929, sull’arco tracciato dalla nostra via Consolare scoviamo anche il richiamo alla proprietà che diede il nome alla nostra fontana: la Villa Riatti. Immobile ancora oggi riconoscibile sul posto posto.
La fontana di Riatti non esiste più, ma una strada di recente realizzazione (via Fontana di Riatti), distante pochissimi metri, ne ricorda la sua storica e importante presenza. Nell’area forlivese sono numerosi i toponimi che trovano l’origine in una fons, una fonte, una sorgente: Fontanaccia (Magliano), Ca’ Fontana (Ladino), Fontanaccia (Vecchiazzano), La Fontana (Collina), Fontanelle (Bussecchio).