Antico, stupendo toponimo nel quartiere Ravaldino a Forlì. Famoso soprattutto per la presenza nel luogo di una palestra che, proprio nel piazzale Campostrino, ha ospitato per decenni l’attività ginnica della società Forti e Liberi e generazioni di studenti del centro storico: è la palestra Giulio Paolucci, per tutti Campostrino.
Durante il medioevo quel toponimo indicava un fondo: una proprietà nelle vicinanze della via Emilia. Ma la sua origine, quella che oggi mettiamo in discussione, pare essere molto più antica. L’ustrina o ustrinum era il luogo, all’esterno della zona edificata urbana, dove i Romani (IV a.C. – II d.C) cremavano i cadaveri. E anche il nostro Campo Ustrino, ovvero Campostrino, è da sempre riconosciuto come tale. Da tutti. Anche l’Elenco Generale delle Strade e Piazze del Municipio di Forlì, già nell’edizione del 1899, tra le Osservazioni riporta: All’epoca romana, in quella zona fuori del centro abitato era l’ustrinum, cioè il luogo ove bruciavano i cadaveri. Nelle più vecchie carte ha sempre il nome di Campostrino in ricordo dell’antico uso: con tale denominazione indicavansi la chiesa e il convento dei Servi e il tratto fino alla rocca di Ravaldino. Anche chi scrive queste righe ha, per lungo tempo, considerata plausibile l’ipotesi “romana”. Ma alcune considerazioni basate su elementi importanti, e reali, danno modo di mettere profondamente in discussione l’antica interpretazione.
Rinnoviamo lo studio. La critica all’origine funebre del toponimo parte da un dato assolutamente oggettivo: la totale assenza di ritrovamenti che diano anche solo un indizio a favore della vecchia spiegazione. Non un’urna funeraria, non una traccia di colombari, né un arredo. Fino ad oggi nulla.
La prima ipotesi alternativa trae spunto dal termine Ustrina. Il suo significato è anche quello di combustione, fuoco. Ed ecco che il Polloni, su Toponomastica Romagnola, ci da una mano sviscerando il significato di Longastrino, dove strina ricalca il concetto del dialettale strena, stria, striscia asciutta, bruciata. All’interpretazione di Longastrino, lunga striscia asciutta, proviamo ad accostare quella di Campostrino, ovvero campo asciutto, in contrapposizione ad una zona ovviamente bagnata. Poiché il termine campus sta per fondo, area agricola, possedimento, ci troveremmo al cospetto di una zona coltivabile più alta e asciutta rispetto ad una zona più avvallata e umida. E’ la fotografia della situazione morfologica del nostro Campostrino, ubicato nelle vicinanze dell’antico ed esuberante fiume Montone (che passava dentro Forum Livi) e in quota maggiore rispetto al resto della città. Nel ravennate, specifica poi l’Ercolani, anticamente erano chiamate strine lunghe strisce di terra emergenti dalla palude.
Infine i significati di campus: campo, e trinus: triplo. Insieme: campo triplo. Ha tre proprietari? Tre tipi di colture? E’ diviso in tre parti? Una chiara risposta ce la dà, senza volerlo, Gianluca Brusi sul suo “monumentale” Serrallium Colunbe quando al capitolo intitolato I fundi dell’espansione urbana, scrive tra l’altro: …come si nota subito non esiste una corrispondenza esatta tra le maglie delle contrade e quella dei fondi; inoltre, si noti la vastità del fundo Campostrina (…). Siamo nel secolo XIV e ci troviamo di fronte a un gran bel fondo, asciutto e grande: un campo triplo, un campus trino. Il Marchesi, alla fine del ‘600, ricorda inoltre che sotto la denominazione di Campostrino ricadevano anche la chiesa e il convento dei Servi (nell’attuale piazza Morgagni) e tutta l’area seguente fino ad arrivare alla rocca di Ravaldino. Questa indicazione di considerevole ampiezza, come dicevamo poc’anzi, venne ripresa anche dallo stradario del 1899.
A questo punto un riesame del toponimo pare quanto meno legittimo. L’interpretazione classica del forlivese Campostrino, cioè campo delle cremazioni, ha il solo appoggio accademico; il campo asciutto e il campo triplo hanno invece riscontri morfologici e documentali. Per questa ragione le ultime soluzioni (in particolare il campo triplo) godono della nostra preferenza.