Giuseppe Gaudenzi, di Pietro e Anna Laghi, fu uomo politico, sindaco di Forlì, giornalista e onorevole al Parlamento. Rappresentante di spicco dei repubblicani in Romagna e punto di riferimento nazionale. Nato a Terra del Sole nel 1872, morì a Pievequinta nel 1936.
La famiglia Gaudenzi era originaria di Terra del Sole. A Forlì esercitava il commercio e grazie a notevoli possibilità economiche acquistò in Pievequinta alcuni poderi e palazzi. In particolare il palazzo Monsignani detto Delle meraviglie (oggi scomparso) e il palazzo Morattini. In quest’ultimo visse anche Giuseppe fino al momento del suo matrimonio con la romana Alceste Bisi con la quale prese residenza nella capitale. Il palazzo, ancora oggi esistente, era indicato come e’ palaz ad Panòcia per il soprannome che portavano proprio i Gaudenzi.
Fu studente all’Istituto tecnico di Firenze. Conobbe Andrea Giannelli, l’illustre amico di Mazzini, che lo affiliò all’organizzazione segreta Alleanza Repubblicana Universale. A soli quindici (o 17) anni fondò la Società Operaia Repubblicana di San Varano e nel 1889 partecipò alla Rappresentanza delle Società Operaie Italiane Affratellate le cui attenzioni guardavano, tra l’altro, alla difesa delle autonomie locali e ai bisogni sociali. A Livorno, nel 1890, fu arrestato in occasione delle prime manifestazioni del Primo maggio. Aveva cominciato presto con l’attivismo politico ed era noto da tempo il suo nome […] che – racconta Il Pensiero Romagnolo – quando intraprese nel 1895, a 23 anni, il suo primo giro di organizzazione attraverso la penisola, molti lo ritenevano già vecchio barbuto e impotente, e restavano sorpresi nel vederlo invece ancora smilzo e imberbe.
Nel 1890 fondò a Forlì il battagliero giornale La Romagna che diresse fino al 1893. Nel 1894 fondò Il Pensiero Romagnolo di cui fu direttore per oltre 17 anni. Nell’attività di giornalista si firmò anche con gli pseudonimi di Miles, Fantasio, Vis.
Dopo un lungo lavoro preparatorio nel 1895 riunì a Bologna le organizzazioni repubblicane superstiti dopo il dissolvimento del Patto di Fratellanza delle Società Operaie Italiane sorto a Roma nel 1871 sotto gli auspici di Mazzini. Si costituì così il Partito Repubblicano Italiano. Giuseppe Gaudenzi fu il primo segretario e Il Pensiero Romagnolo ne fu l’organo ufficiale.
Gaudenzi viene definito il primo organizzatore dei contadini. I suoi difficili approcci ebbero inizio con l’avvento del Novecento. Bisognava parlare con loro nel piazzale della chiesa quando uscivano dalla funzione religiosa – racconta Il Pensiero Romagnolo -. Ma essi allorché scorgevano l’oratore si allontanavano frettolosi. Nelle campagne si era diffusa la voce che quel giovane era un emissario del diavolo e che bisognava allontanarlo. […] L‘ordine dato dal parroco era perentorio: “uscite dalla chiesa e filate subito a casa senza fermarsi ad ascoltare parole scomunicate”. Il primo piccolo risultato lo ottenne proprio a Pievequinta dove, per altro, era conosciuto come figlio di un possidente. Dopo quel primo approccio la sua fama di oratore contro l’arbitrio dei padroni si diffuse in tutta la campagna. Dopo la predica di Pievequinta nelle campagne si discusse a lungo e quindici giorni dopo Gaudenzi parlò a Barisano. Fu un trionfo. Pochi giorni dopo – testimonia ancora Il Pensiero Romagnolo – il repubblicano Attilio Rapetti di Villa Pianta fondava la prima Lega fra i coloni del Comune di Forlì ed indi gettava le basi della Fratellanza dei Contadini della quale per vent’anni Giuseppe Gaudenzi, che per primo aveva gettato il seme nel solco della dura terra, fu il più fedele e sicuro assertore.
Dal 1904 al 1919 rappresentò il Collegio di Forlì nel Parlamento nazionale. Famoso fu il suo intervento alla Camera Il 15 novembre 1913 a favore di alcuni manifestanti e contro la monarchia. Il fatto: successe che a Rimini, durante una manifestazione, la forza pubblica sparò sulla folla. Gaudenzi, inviato dal P.R.I. era presente al fatto e per i sanguinosi avvenimenti pose un’interrogazione al Ministero dell’Interno. Nella seduta della Camera l’onorevole Falcioni spiegò all’assemblea che la forza pubblica adoperò le armi perché la folla gridava dinnanzi alla Sottoprefettura: abbasso Savoia! L’onorevole forlivese non accettò la versione dei fatti e insorse contro la relazione del sottosegretario dichiarandola non conforme a verità. La reazione politica non si fece attendere, ma Gaudenzi si alzò in piedi e gridò: E se anche il grido di abbasso Savoia! fosse stato lanciato, sarebbe per questo giustificata la repressione sanguinosa? La maggioranza rispose ancor più indignata: viva il Re! Viva il Re! Ma la replica di Gaudenzi fu clamorosa: Abbasso Savoia non si è gridato a Rimini, ma di fronte al vostro cinismo, quel grido lo elevo io fra voi: Si, abbasso Savoia! A quel punto, in mezzo alle grida dei deputati monarchici, sia i repubblicani che i socialisti gridarono viva la Repubblica sociale e cantarono l’inno dei lavoratori.
Dopo la guerra mondiale Giuseppe Gaudenzi divenne un simbolo di concordia sociale. A lui ricorsero operai, contadini, industriali e possidenti per avere, quando possibile, l’arbitrato di un uomo la cui serenità e rettitudine dava garanzia di equilibrato giudizio. Nel giugno del 1919, in seguito ad un contrasto avvenuto in un negozio, scoppiava a Forlì il tumulto del caroviveri. Gaudenzi era in piazza e da ore lottava per evitare lo scontro con la forza pubblica. Ma una durissima mischia si consumò in corso Mazzini a pochi metri dalla caserma dei Regi Carabinieri. Quando Gaudenzi giunse sul posto i Carabinieri avevano già i fucili spianati. Bisognava osare tutto – testimonia Il Pensiero Romagnolo – per evitare una inutile strage. Postosi dinanzi alle canne dei moschetti grida al capitano comandante: Capitano, fermate i vostri uomini, rispondo io di tutto il popolo, anche con la vita. Quello che accadde in quell’attimo di terribile tragicità da noi stessi vissuto, ha dell’incredibile. Quella folla convulsa, che appariva armata di tutte della violenza cieca, che non conosce ostacoli, che non misura il pericolo, stupita dall’audace gesto del suo Capo si quieta come per incanto e si ferma ad acclamare l’Uomo che aveva esposto la propria vita nel tentativo di evitare un massacro. L’eccidio fu scongiurato.
Gaudenzi fu il sindaco che i fascisti forlivesi obbligarono a rassegnare le dimissioni il 30 ottobre 1922 all’indomani della marcia su Roma. Le camicie nere presero possesso degli uffici comunali e, comandati da Francesco Melli, intimarono al sindaco di sciogliere la Giunta. Per evitare sanguinose violenze il primo cittadino convocò la riunione che avvenne senza alcuna discussione essendo ormai i fascisti padroni dell’Italia, da loro occupata militarmente. Giuseppe Gaudenzi fu l’ultimo sindaco eletto con votazioni democratiche prima del totalitarismo fascista. .
Alla morte di Gaudenzi, dopo ordini contrastanti, giunsero a Forlì le disposizioni restrittive che da Roma Mussolini volle impartire in merito ai funerali. Così le elenca, nel dopoguerra, il giornale repubblicano Il Pensiero Romagnolo:
1) Divieto di qualsiasi manifesto da parte di amici e di Enti che annunciasse la morte dell’ex deputato e sindaco di Forlì.
2) Divieto ai braccianti di sospendere i lavori della trebbiatura e agli operai di uscire dalle fabbriche durante il trasporto funebre.
3) Divieto al Municipio e agli enti di prendere parte ai funerali.
4) Divieto ai fioristi di confezionare corone e mazzi di fiori per Giuseppe Gaudenzi.
5) Invio a Pievequinta, lungo le strade percorse dalla salma e nei pressi del cimitero di Forlì, di tutte le forze di polizia con ampio servizio fotografico per individuare i partecipanti a corteo.
Nonostante i divieti molte persone si recarono a Pievequinta per accompagnare la salma lungo la strada piantonata dai fascisti. Molte altre attesero sul piazzale del cimitero monumentale. Tra questi furono notati repubblicani di Faenza, Ravenna e Bologna. Nessun discorso, la folla che invase l’ampio piazzale fece ressa attorno alla salma, si inchinò a baciarla e si sciolse piangente.
A Giuseppe Gaudenzi la città di Forlì ha voluto dedicare una via nel centro storico e ha eretto un busto all’ingresso dei Giardini pubblici di piazzale Della Vittoria.
Bibliografia:
Un sentito ringraziamento per la collaborazione nella ricerca della documentazione va a Gabriele Zelli.
Elio Santarelli. Terza Pagina. I medaglioni de “Il Pensiero Romagnolo” 1897 – 1994 illustrati da Ettore Nadiani. A cura di Rino Casadei e Mario Proli. Associazione Mazziniana d’Italia Sezione Giordano Bruno. Forlì, 2007.
Mauro Mariani (a cura di). I fratelli Giuseppe e Quinto Gaudenzi e Pievequinta. Associazione “Amici della Pieve”. Forlì, 2000.
Il Pensiero Romagnolo, 1922.
Il Pensiero Romagnolo 1945.
Il Pensiero Romagnolo 1949.
Giuseppe Monsagrati. Mazzini Giuseppe. Dizionario Biografico degli Italiani, volume 72, 2008. In treccani.it