Paola Bezzi. Destinazione Sottosuolo. Storia di Adele Garavini e Primo Pasini: dalla mezzadria poderale forlivese alle solfare cesenati, dalle miniere del Lussemburgo alle gallerie del lager di Mauthausen. Preazione di Mauro Mariani e Gabriele Zelli. Associazione culturale e ricreativa “Amici della Pieve ODV”, Comitato Pro Forlì Storico-Artistica. Tipolitografia Valbonesi per Edit Sapim 2024.
Paola Bezzi dà voce ad alcuni protagonisti di vicende solitamente catalogate come di “poca importanza”. Sono invece storie di donne e uomini di umili origini che hanno però contribuito allo sviluppo del nostro Paese. Il titolo del primo capitolo recita efficacemente: Adele, la pioniera romagnola, Primo, il coraggioso solfataro. Storie di fame, fatica e fiammate.
Ho incontrato Adele Garavini non attraverso i racconti o i ricordi di chi l’ha conosciuta in Romagna – scrive Bezzi -, ma mi sono imbattuta nel suo volto, serio e tirato, in un pomeriggio afoso dell’estate del 2022, all’Archivio Centrale di Roma, mentre stavo sfogliando un fascicolo dedicato ai dissidenti politici romagnoli. Lei era bollata come “antifascista Estero (Lussemburgo)” – inscritta nella Rubrica di frontiera. La consultazione degli alberi genealogici ricostruiti pazientemente nel corso degli anni dal ricercatore e storico Mauro Mariani, cofondatore dell’Associazione Amici della Pieve di Pievequinta, e le sue accurate ricerche catastali hanno permesso di scoprire che Adele fu battezzata proprio a Pievequinta e che la sua famiglia aveva radici locali. Non so come lei sia vissuta, da bambina, sul finire dell’Ottocento nel podere Pantolina dei Monsignani, sito a Casemurate di Forlì, dove il padre Emanuele e il nonno Giuseppe, detto Garaven del Bevano, facevano i mezzadri. Non so per quali motivi Adele abbia lasciato il suo paese natio per trasferirsi a Bora (Comune di Mercato Saraceno), dove nacque il fratello Attilio Cesare il 18 giugno 1882, e poi a Borello di Cesena, probabilmente il paese della madre, e perché, in seguito, sia espatriata in Lussemburgo, seguendo il marito Primo Pasini, zolfataro. Posso solo immaginare alcuni possibili scenari, ma sicuramente la nostra protagonista avrebbe preferito rimanere dove era nata, nei luoghi a lei familiari… Tento, perciò, di ridarle voce perché è giunto il tempo di realizzare “una evocazione”, “una evanescente resurrezione” di una donna “inghiottita” dalla storia, “senza possibilità alcuna di lasciare traccia di sé nel ricordo degli uomini”. E quello che scaturisce è il racconto di una persona emarginata dalla società, di una migrante in cerca di un futuro migliore, di una figlia, poi anche moglie e madre, che sentiva fortemente i legami familiari e che per essi ha sofferto tanto, fino alla perdita del proprio equilibrio interiore.