Se vogliamo credere ad un toponimo nato dalla presenza di un albero, dobbiamo parlare di una pianta importante. Forse un pilastrino arboreo come nel caso della Rovere. O la segnalazione di un confine. Un limite: …la nostra proprietà arriva fino alla pianta. Il Polloni sul volume Toponomastica Romagnola spiega la progressione latina da planta, pianta del piede, quindi plantare e pianta, albero piantato. Ettore Casadei sulla sua guida Forlì e Dintorni (1928), la identifica in un’antichissima quercia abbattuta nel 1880. Antichissima, forse troppo, se in documenti del 1371 era già tale da meritarsi l’assegnazione di un toponimo.
Nella prima metà del XVI secolo – racconta Adamo Pasini sul periodico La Madonna del Fuoco – la chiesa di Santa Maria in Trentola cominciò ad essere conosciuta come Santa Maria della Pianta. Ma il motivo per cui la chiesa ha iniziato a chiamarsi della Pianta, potrebbe essere più di una semplice localizzazione, addirittura la rievocazione di un miracolo. L’eccezionale evento è rappresentato in un intaglio in legno, una matrice di xilografia, che raffigura un uomo che cade dalla cima di un albero e che rimane illeso invocando con fede la Beata Vergine. Ed ecco Santa Maria della Pianta. Quell’incisione postuma esiste ancora: è conservata presso l’archivio della parrocchia.
Ci affidiamo con più tranquillità a Villa Plancole, come viene citata nelle Descriptio Romandiole del 1371. Il significato di planca è asse, tavola, tavolato. Plancole come piccole aree piane quindi. Pulite e pianeggianti. Destinate all’agricoltura.
Pensiamo anche a Plancole come la composizione di due parole. Uniamo planus, dal significato di piano, e colens, abitante: ed ecco che la nostra Pianta diventa una Piana abitata. Un’area disboscata con intorno la selva vergine, o un piano livellato al di sopra di una zona paludosa.
Ma il latino colis, cavolo, restituisce alla nostra piana l’immagine di fitotoponimo. Plan-colis, ovvero la piana dei cavoli.
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