Il 12 ottobre 1911 fu arrestato a Forlì il socialista Benito Mussolini. Lo sciopero indetto contro la guerra in Libia aveva avuto un tiepido successo, ma non a Forlì. A Forlì, dove Nenni e Mussolini avevano sapientemente agitato le folle e istigato le persone a disertare, lo sciopero andò oltre la sommossa. Fu una rivolta di migliaia di operai che abbatterono i pali del telegrafo e tentarono di far deragliare il treno. A difendere Mussolini, segretario del locale partito Socialista nonché fondatore del giornale Lotta di Classe, fu l’avvocato forlivese Genuzio Bentini. La sentenza di primo grado condannò il predappiese a 12 mesi da scontare nel carcere della Rocca di Forlì. Ma Benito ebbe fiducia nel proprio legale già compagno di partito. La pena fu ridotta in appello da 12 a 6 mesi.
Genuzio Bentini, penalista, politico, giornalista, oratore e antifascista nacque a Forlì nel 1874. Giovane irrequieto di pensiero anarchico, pacifista e antimilitarista si laureò a Bologna nel 1896. Nella città felsinea, dove fu più volte condannato per vicende politiche, il suo grande impegno lo condusse a diventare un importante esponente del partito Socialista. Fu deputato per molte legislature, ma, ricordano i vecchi registri toponomastici comunali, ebbe fama soprattutto di penalista ed oratore fra i più grandi d’Italia e della sua attività di socialista militante, sono i ricordi di innumerevoli comizi.
Gioiello e Zambelli, sul volume, Amarcord, piò ‘d quarant’en fa… riportano piccoli interessanti brani di alcuni suoi discorsi. Uno in particolare ci ha incuriosito. Qualcuno – scrivono gli autori – lo ricorda difendere un tale che aveva abbandonato l’amante, la quale si era allora uccisa lasciando una lettera d’accusa contro l’infedele: l’avvocato avversario si apprestava alla conclusione della sua arringa dicendo con voce accorata: “la vicenda è tanto più grave quando si pensa che egli l’aveva illusa giurandole che essa era per lui la prima donna; capite, la prima donna…” Non poté finire la frase. Nel silenzio generale si udì la voce di Bentini: “La prima donna? E’ forse obbligo sposare la prima donna? Ma se non ci riesce neppure il tenore nei melodrammi. Fa, fa e poi al quarto atto non la sposa mai!” La battuta fu più efficace di qualsiasi orazione. La carica emotiva creata dall’antagonista era stata spezzata.
Perseguitato dal fascismo decise di non abbandonare mai l’Italia e solo si spostò da Bologna a Milano. Durante la seconda guerra mondiale si raccontano alcune sue partecipazioni agli incontri notturni, che si svolgevano presso l’Hotel Masini di Forlì, con alcuni esponenti del movimento di Liberazione.
Morì a Lodi nel 1943. Pochi anni dopo gli furono rese le onoranze, sia a Bologna che a Forlì. Sulla lapide, collocata sulla facciata della casa natale in corso Garibaldi, venne scritto: Qui nacque | il 27 giugno 1874 | Genuzio Bentini | Con l’eloquenza dominatrice | con l’esempio | nelle piazze, nel foro, nel Parlamento | rischiarò | le ore tenebrose | dell’Umanità.
Bibliografia:
Lorenzo Bedeschi e Dino Mengozzi (a cura di). Personaggi della Vita Pubblica di Forlì e del Circondario. Dizionario Bibliografico 1897 – 1987. Due volumi. Istituto di Storia dell’Università di Urbino. Edizione QuattroVenti. Urbino 1996.
Salvatore Gioiello e Lieto Zambelli. Amarcor, piò ‘d quarant’èn fa… Cassa Rurale ed Artigiana di Forlì. 1995.
Luigi Preti. Mussolini Giovane. Rusconi. Milano, 1992.