Fontanacce è un toponimo che troviamo nel territorio di Magliano. Un nome che una saggia commissione toponomastica ha voluto legare ad una via per mantenerne vivo il ricordo.
Sull’ottocentesco Catasto Pontificio, al foglio di Majano (allora Sezione del Comune di Meldola), troviamo il Vicolo della Fontanazza che si immette in quella che era la Strada di Ferazzano. Proprio all’incrocio delle due vie, oggi non più tracciate, appare il toponimo Fontanazza, lo stesso che ritroviamo nelle moderne mappe del Piano Regolatore. Non è quindi il nome di un podere, ma di un luogo vero e proprio.
Antica acqua di fonte, o di più fonti. A Forlì troviamo molti toponimi con la stessa origine: Ca’ Fontana (Ladino), Fontanaccia (Vecchiazzano), La Fontana (Collina), Fontanelle (Bussecchio), Fontana di Riatti (Romiti). A volte l’abbondanza di acqua è ancora oggi documentabile. Come alla Fontanazza di Magliano, dove una fontana ancora attiva, un pozzo e un laghetto certificano il valore del toponimo.
Abbiamo la fortuna di avere una testimonianza diretta di com’era lo stato dei luoghi nella prima metà del ‘900.
E’ quella di Maria ad Gatt (Maria Lucchi), nata nel 1937 e vissuta fino al 1965 nel podere Qui ad Gatt all’inizio di via Fontanacce. In quel luogo avvenne il triste episodio bellico del 12 agosto1946 che determinò 5 morti e alcuni feriti. Il podere Ad Gatt in precedenza era detto Manzona, poi nel 1925 subentrò la famiglia che gli diede il nuovo nome: Qui ad Gatt. Il nucleo era formato da 19 persone appartenenti a tre generazioni: i genitori, i loro 10 figli, di cui alcuni sposati con prole, e 2 scapoloni: i zioni, cioè i fratelli del vecchio genitore. La famiglia lasciò poi il podere nel 1965.
Il padre di Maria raccontava della presenza della fontana da prima del loro arrivo, forse dall’inizio del secolo prima della grande Guerra. In quel punto – spiega Maria – sgorgava in modo copioso acqua buona proveniente da una falda sotto un ampio strato di ghiaia che si estendeva per tutta l’attuale collinetta sovrastante. Nel secondo dopoguerra sorse una cava per l’asporto di ghiaia che Walter Neri (abitante della zona) la ricorda attiva fino a metà degli anni 60. L’attività estrattiva compromise la bontà dell’acqua e limitò la portata della fontana che era stata costruita dai Mazzoni, la famiglia proprietaria dei terreni. Serviva soprattutto da abbeveratoio delle mucche allevate dalle due mezzadrie vicine, in particolare dalla famiglia Rossi che abitò fino al 1950 nella casa detta “ad Furan” prima e poi “Funtanaz” (quella appena sopra la salitella), con vicino un pozzo per prelievo per uso domestico. Per una più ampia raccolta d’acqua ad uso irrigazione, nel 1945 fu realizzato il laghetto. Una parte d’acqua defluiva lungo un fosso a scendere fino alla casa di sotto, Ad Gatt”, dove veniva utilizzata per annaffiare l’orto. Lo stagno, molto più ampio e profondo dell’attuale pozza, veniva utilizzato dalle donne delle case vicine per lavare i panni: esse vi accedevano portando i panni con la carriola e su grandi bacinelle.
Nel 1950 il bacino fu il luogo di un tragico evento: una donna sulla sessantina di nome Dolinda, che abitava nella casa chiamata la squaciarela (quella nell’angolo fra viale Bidente e Via Maglianella, cosiddetta perché era stata sede del circolo dei popolari chiesaiuoli) annegò inspiegabilmente. Trovarono il corpo che galleggiava nello stagno e sulla riva la sua carriola carica di panni.
Col tempo, specie dopo lo sbancamento della ghiaia, l’acqua non risultò più potabile, come poi tutte le acque dei pozzi della campagna maglianese per i noti fenomeni di inquinamento, e con l’abbandono delle case poderali la fontana e il pozzo non furono più curati e si arrivò presto allo stato di abbandono.
Questa voce è stata realizzata con la collaborazione di Gabriele Zelli.
Un sentito ringraziamento va a Maria Lucchi.