Federico Fellini e la città di Forlì: un incrocio mai avvenuto. Eppure… Proprio in Amarcord una delle scene epiche raccontate dalla voce fuoricampo di Titta fu ispirata dall’opera d’arte di un “Forlivese”. Si tratta del monumento ai Caduti di Rimini realizzato da Bernardino Boifava e inaugurato da Vittorio Emanuele III nel 1926. Furono le conturbanti nudità della Gloria, che ancora oggi si appoggia alle spalle dell’Eroe armato in piazza Ferrari, a creare il caso felliniano. Un caso già esploso in tutta la sua sensualità al momento dell’inaugurazione e rimasto inconsciamente nella memoria dei riminesi.
Questo è il monumento della Vittoria – recita Titta in Amarcord in adorazione delle carnose rotondità – andavamo a vederlo tutti i giorni… e io me lo sognavo anche la notte! Per le riprese del film la scultura non venne riprodotta fedelmente e nella realizzazione venne ancor di più arrotondato l’oggetto del turbamento. Le inquadrature, neanche a dirlo, furono geniali.
Tutta la vicenda del monumento, quello reale, parrebbe una storia “felliniana”. Un po’ grottesca, un po’ tragica, viscerale. Una splendida rappresentazione dell’atmosfera di provincia. Lo scultore Bernardino Boifava era nato a Ghedi, in provincia di Brescia, ma giovanissimo militare fu trasferito a Forlì dove rimarrà tutta la vita. Nel 1922 vinse il concorso indetto dal Comitato pro Monumento ai Caduti di Rimini ottenendo un incarico che onorò con la creazione di un vero capolavoro ricco di emozioni e simbologie. Forse la sua opera migliore. L’Eroe, che si offre alla Patria imbracciando ancora lo scudo, viene baciato in fronte dalla Gloria che si libera delle vesti terrene. L’opera fu concepita nella chiesa sconsacrata di San Salvatore che il Comune di Forlì aveva da poco concesso all’artista come studio. In quel luogo, nel 1923, i supervisori artistici riminesi verificarono il modello a dimensione reale e diedero il nulla osta alla fusione. Ma…
L’Ausa (giornale di Rimini) riportò annotazioni entusiastiche e così commentò i nudi plasmati dall’artista: sono studiati con alto senso dell’arte e si presentano al pubblico senza offendere le leggi della decenza e del pudore. Ma alcune foto scattate ai particolari furono diffuse maliziosamente a Rimini creando, per il loro evidente realismo, un po’ di scompiglio tra i più puritani. La corrispondenza tra Boifava, che rivendicava la propria libertà d’artista, e le autorità civili e religiose divenne immediatamente fitta e problematica. Intervennero il prefetto di Forlì, il vescovo di Rimini e le parti passarono alle vie legali. L’artista fu quindi costretto dal Ministero degli Interni ad applicare una foglia alle nudità dell’uomo e un “velo” di piombo alle rotondità femminili. Secondo gli “accordi”, quest’ultimo sarebbe stato poi sostituito da un manto definitivo in bronzo.
La storia poteva concludersi con l’inaugurazione del monumento effettuata dal re nel 1926. Ma non fu così. Perchè quel giorno Boifava rischiò addirittura la galera. Antonio Mambelli nel 1948 (Boifava era ancora vivo) scrisse in chiaro tono amichevole: Boifava […] ricevuto l’invito di partire subito per Rimini (da Forlì nda), ad assistere affianco al Re all’inaugurazione del monumento da lui modellato, non riuscì a trovare da alcuna parte il danaro per il viaggio: vi provvide il Comitato, ma appena giunto calò il bastone sulla testa del fotografo. Volevano arrestarlo, appunto, ma ebbe il tempo di spiegare tutto a Sua Maestà il Re che era notoriamente sensibile all’arte. Ad ultimo, invece delle carceri, Boifava andò trionfante per la città col bastone giustiziere dal pomo d’argento ammaccato, a ricevere complimenti per la duplice arte. L’arte di maestro scultore e quella di maestro “bastonatore”. Il fotografo che gli aveva creato tanti problemi era stato punito.
Ed ecco l’epilogo della nostra storia. Qualche tempo dopo l’inaugurazione il velo di piombo che copriva le nudità femminili fu ritrovato ai piedi del monumento. Qualcuno aveva nottetempo provveduto a liberare, per il piacere dell’arte e dei riminesi, la Gloria dalle vesti terrene. Le splendide rotondità tornarono quindi ad essere in vista come le volle l’indomito Boifava: così realistiche e così fotogeniche da stimolare la creatività e la fantasia di un altro grande artista: Federico Fellini.
Nel 1941 il monumento ai Caduti di Rimini fu riconosciuto di notevole valore artistico. L’opera si salvò quindi dalla fusione dei metalli per la guerra testimoniando per sempre la grande determinazione e la grande arte di Bernardino Boifava.
Un ringraziamento particolare va al professor Angelo Bonini, a Davide Scarpella, alla Biblioteca di Ghedi e alla Biblioteca Gambalunga di Rimini.
Bibliografia:
Angelo Bonini e Luciano Spiazzi. Bernardino Boifava scultore. Edizione speciale Gaydum. Comune di Ghedi, Provincia di Brescia, 1988.
Paola Saiani. Bernardino Boifava. In: Personaggi della vita pubblica di Forlì e circondario. A cura di Lorenzo Bedeschi e Dino Mengozzi. Istituto di Storia dell’Univesità di Urbino. Edizioni Quattroventi, 1996.
Ferruccio Canali e Giordano Viroli. Monumento ai Caduti. In Luciana Prati e Ulisse Tramonti (a cura): La Città progettata: Forlì, Predappio, Castrocaro. Comune di Forlì, 2000.
Il Popolo di Romagna 21 maggio 1935.
Fondazione Federico Fellini
Bronzo alla Memoria, bronzo alla Patria.