La via La Pittarona a Pievequinta di Forlì, spiegano i registri toponomastici comunali, prende il nome da una cascina del luogo.
Guido Laghi, sul volume Pievequinta nella Storia, attribuisce l’origine della denominazione a un soprannome di impianto burlesco e scherzoso. Burlesco e scherzoso, certamente, perché e pitar in dialetto è il recipiente del latte. Pare ancora di vederla la Pittarona sull’uscio della cascina: bella, corpulenta e soprattutto prosperosa arzdora di Pievequinta.
Sul Nuovo vocabolario Romagnolo-Italiano dell’Ercolani leggiamo: …latino regionale pitharium, vaso di terra, dal greco pitharion, diffuso dall’Esarcato di Ravenna. Un orcio di grandi dimensioni, un grande contenitore, stazionava nell’aia di quella fattoria in attesa di essere riempito? la Pittarona era un punto di raccolta del latte? L’ipotesi è tutt’altro che bizzarra. L’area del Bevano, grosso torrente costeggiato proprio dalla via Pittarona, era una larga: un’area perfetta per il pascolo del bestiame.
O era proprio l’aia di quella cascina a sembrare un grosso vaso, infossata al punto di riempirsi d’acqua ad ogni acquazzone?
Per sorridere ancora. Ci incuriosisce il simpatico termine pitalen che nel dizionario di dialetto romagnolo è spiegato come piccolo pitale che veniva messo in cima allo stollo del pagliaio per tener lontane le streghe che potevano darsi convegno nell’aia del contadino. E da quelle parti le streghe dovevano essere assai frequenti e pericolose, se un semplice pitalen non era sufficiente a scongiurarne le attività. Ne serviva uno di grandi dimensioni: una pittarona.